La soluzione non può solo essere demandata al giudice penale né pensare che il problema sia solo la violenzadegli uomini contro le donne. Inoltre sappiamo tutti che un ergastolo non riporta in vita la vittima
Contributo di Veronica Coppola, Presidente Ankyra – pubblicato su Dentro la notizia, supplemento giornaliero della rivista di criminologia Delitti&Misteri – del 5 Dicembre 2024
“Rispetto la giustizia ma la violenza di genere non si combatte con le pene. Abbiamo perso tutti come società”
Queste le parole di Gino Cecchettin dopo la sentenza che ha condannato all’ergastolo Filippo Turetta.
Sono parole di grande dignità e equilibrio, dette da un padre che pure, a fronte dell’omicidio della giovane figlia Giulia, poteva lasciarsi andare, ed essere in qualche modo giustificato, a facile giustizialismo. E invece no. Riportano la collettività ad una lucida analisi, quella per cui non è un ergastolo a poter alleviare la coscienza collettiva né a risolvere il problema, sociale e culturale, della violenza. Ricordiamo che solo una settimana prima, l’ergastolo comminato ad Impagnatiello, in un’altra aula giudiziaria, questa volta a Milano e nella data nella quale si celebra la giornata per l’eliminazione della violenza contro le donne, è stato accolto da un applauso. Anche lì, si celebrava l’omicidio di un’altra altrettanto sfortunata Giulia. Il pubblico presente si è, infatti, lasciato andare ad un applauso, alla lettura del dispositivo di una sentenza di condanna all’ergastolo. La coscienza collettiva, si sa, ha bisogno di trovare il colpevole, che diviene il contenitore del male, la punizione come soluzione alla rottura del contratto sociale del singolo. E così ecco a noi un applauso in un’aula giudiziaria, che, ricordiamo, non è propriamente un teatro. I giudici, fautori della c.d. giustizia terrena, assumono un ruolo liberatorio e salvifico, come uno sciamano in una tribù. Una visione, però, repressiva non solo della pena ma anche del problema: il problema della violenza, che riguarda tutti noi, è risolto con un bell’ergastolo e si volta pagina. Così non è e non può essere. La violenza è un problema sociale e culturale, la cui soluzione non può solo essere demandata al giudice penale né pensare che il problema sia solo la violenza degli uomini contro le donne. Poiché un ergastolo non riporta in vita la vittima e da un punto di vista general preventivo non previene l’ulteriore commissione da parte di altri autori. Questo perché a chi è accecato dal controllo e dal possesso (ed è permeato dalla cultura della violenza) ben poco interessa che Turetta ed Impagnatiello ed altri abbiano preso l’ergastolo prima di lui. La pena avrà i suoi effetti contro gli autori del reato e così sia. Ma il vero problema è culturale e ruota intorno ad un aspetto forte e determinante: l’assenza di una vera cultura del rispetto, rispetto degli altri ma anche verso sé stessi. Nel rispetto degli altri non vi è spazio per la sopraffazione nè per la prevaricazione. Nel rispetto verso sé stessi si impara a proteggersi dalla sopraffazione e prevaricazione. Non è, quindi, una questione tra uomini e donne, né tantomeno che la violenza sulle donne è un problema degli uomini, come populisticamente si sente dire ad oltranza, dimenticando che gli assassini sono anche figli di donne che li hanno cresciuti. La violenza è un problema di tutti, perché nella sua drammaticità la violenza è democratica e generosa, non conosce distinzioni di genere, di condizioni sociali e personali, può riguardare chiunque. E per questo nella lotta alla violenza relazionale non ci possono essere ideologie, stereotipi, slogan facili. Sarebbe, come in effetti è oggi, una partita già persa a tavolino. Per questo, sì è vero, abbiamo già perso tutti come società.